Giustamente, automaticamente e praticamente: l’uso che ne fa il catanese
di Mattia Iachino Serpotta
C’è a Catania una forma latente di arroganza linguistica, manifestata attraverso l’uso anomalo di alcuni avverbi, che tradiscono un significato incompatibile con il contesto nel quale si inseriscono.
Sto parlando, mi avete già capito, di “giustamente”, “automaticamente” e “praticamente”. Tralascio la questione dal punto di vista fonetico ed, in particolare, il processo di tipo linguale e/o mandibolare che conduce il catanese a pronunciare questi avverbi “ciustamente”, “bratichiamente” e “a-u-do-matichiamen-de”. Andiamo con ordine.
“Giustamente” dovrebbe significare “ciò che è giusto, secondo parametri di giustizia”. Esempio: “ho visto una persona a terra e giustamente l’ho aiutata”.
A Catania, al contrario, giustamente può veicolare un concetto di giustizia, personale e ingiusto. Ad esempio: “aló, io mi ho fatto scippo o viale Leopaddi…ie appena ho visto la polizia − CIUSTAMENTE − minni scappai”.
Andiamo ad “automaticamente”, che significa “con modalità automatiche”, quindi non rispondenti a comportamenti umani. Esempio corretto: “la porta si è chiusa automaticamente”. A Catania, invece, è: “aló…ho visto che si stavino acchiappando e io per evitare pobblemi − A-U-DO-MATICHIAMEN-DE – me ne sono andato”.
C’è, infine, il “praticamente”, cioè “con modalità concrete e pratiche”, che presuppone appunto il passaggio da una premessa teorica ad una affermazione pratica. Esempio corretto: “La pasta deve essere cotta bene. Praticamente, non la scendere prima di 8 minuti”.
A Catania, invece, il praticamente introduce una risposta, ma solo per contrapporsi alla natura teorica della domanda: “Lei dov’era quel giorno?” “Alò, bratichiamente iu era a me casa”.
Nello stesso contesto, registro l’uso immotivato ed incontrollato della specificazione “di cui”, manifestazione ossessiva dell’esigenza di specificare ciò che non andrebbe specificato. Esempio corretto: “Questa è una medaglia di cui sono molto orgoglioso”.
A Catania, invece, si può notare: “Oggi è una bella giornata, di cui sono stato al mare”.
Tutto questo mi permette di ricordare il più grande utilizzatore di “di cui” in Italia, che è Totò Schillaci, già autore di “you’re very beautycase”, detta in ascensore ad una ragazza e riferita da Roby Baggio.
Di Totò Schillaci si ricorda, a titolo meramente esemplificativo, il seguente uso multiplo di “di cui”, tratto da una intervista che troverete su internet: “Si sono fatti nomi di squadra di cui non sono d’accordo, si sono fatte avanti queste squadre di qua, di cui ho detto che rinuncerei anche a stare”.
Totò Schillaci, un uomo di cui non ti abbiamo capito.
Totò Schillaci, fortissimo di destro e di di cui.